Le Feste erano davvero giorni di gioia per i nostri nonni.
Erano l’occasione per mettersi in ghingheri, per alcuni di mettersi le scarpe, e scendere (o salire) dalle campagne ai Paesi dove si riuniva la comunità, si faceva musica con l’immancabile banda, si incontravano i parenti, si combinavano (o scombinavano) i matrimoni, si seguiva la messa e la processione per mare o per terra, affidandosi alla sorte o alla fede, mescolando preghiere a usanze, a volte maliziose, che si perdevano nella notte dei tempi.
Anche il pane cambiava sapore e si faceva ricco, intrigante, diverso. Il pane delle feste era aromatizzato con anice, finocchio o addizionato con uvetta, pinoli, fichi secchi, insomma con quel che c’era, tanto per differenziarlo dal “pane quotidiano”, modellandolo in forme e fogge diverse. Per renderlo più “goloso” qualcuno aggiungeva anche il miele che successivamente, grazie ad un graduale miglioramento del tenore di vita, fu sostituito dallo zucchero. Quello che si comprava in bottega, nel cono di carta azzurra, quella appunto color “carta da zucchero”.
Particolarissimo è il pane con gli uccelli, detto anche pane ferettato un tipo di pane azzimo di probabile provenienza araba, anche se successivamente gli uccelli e gli smerli furono integrati con i simboli della religione cattolica. Gli uccelli, di contorno all’uovo sodo, stavano a significare l’inizio della stagione della fertilità. Non poteva essere scelto simbolo più azzeccato.